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martedì 25 febbraio 2014

Il discorso di Renzi

Ci sono vari modi di leggere un testo, di ascoltare un discorso, di conoscere una persona. Naturalmente ognuno lo fa a modo suo, con la sua esperienza, la sua cultura, il suo modo di guardare al mondo. 
Molte cose sono state dette dai commentatori favorevoli e contrari, che hanno analizzato le linee generali, i dettagli, lo stile, i gesti nel discorso di Renzi ( Il testo del discorso di Renzi - Pagina 4 di 4 - Il Post ). Su un punto non ho sentito commenti, anche posto che mi siano sfuggiti, essi non sono stati molto sonori. Penso a quello che Renzi stesso ha definito “cambio di metodo profondo”. Nel discorso parlava di identità, integrazione e dello scontro sui diritti che ne scaturisce:

Ciascuno di noi ha una propria valutazione …  lo sforzo oggi non è affermare le proprie ragioni contro gli altri, ma trovare il punto di sintesi possibile, così come sui diritti civili. Oggi una mia amica mi ha scritto: «Se devi approvare una forma di unioni civili che non sia quella che vogliamo noi, allora non approvarla». No, non è così: sui diritti si fa lo sforzo di ascoltarsi, di trovare un punto di sintesi. Questo è un cambio di metodo profondo.
Sui diritti si fa lo sforzo di trovare un compromesso anche quando questo compromesso non ci soddisfa del tutto. Ci ascolteremo reciprocamente, ma la credibilità su questo tema sarà il punto di caduta di un’intesa possibile …

Questo è, in realtà  “il” metodo Renzi, non solo sui diritti, ma, a ben guardare, in tutto il suo modo di fare politica. E’ uno che, rifiutando le ansie radicali e idealistiche prevalenti nella sinistra tradizionale, ha sposato l’arte della negoziazione, del compromesso, del realismo.  Il rispetto dell’avversario e una giusta valutazione del suo potere di interferire o collaborare. Non ha paura di contaminarsi discutendo e negoziando. Gli assolutisti dell’idealismo puro, i radicali dell’identità di partito aborrono questa pratica, un  democratico pluralista e liberale lo considererebbe il solo modo corretto di agire.
Comunque sia questo sembra esser stato il metodo che ha guidato Renzi in tutte le svolte importati della strada fin qui percorsa: dalla paziente accettazione della sconfitta alle primarie dei 2012, al contatto con la “intangibile” forza avversa per cercare di garantirsi un qualche risultato (il solo possibile) per la legge elettorale, all’accettazione di un mandato che sicuramente non ha avuto il percorso che avrebbe preferito. Realismo, quindi, nel valutare le singole situazioni e flessibilità nella scelta dei percorsi, con l’obbiettivo ben preciso di arrivare a un qualche risultato, il migliore dei possibili.
Per molti anni questa si è chiamata “realpolitik”. Ora il termine, un po’ passato di moda, è considerato una parolaccia.
Eppure bisognerebbe ricordare che essa ha guidato grandi vittorie del passato. Né Bismarck né Cavour avrebbero portato a compimento i loro obiettivi in chiave idealistica, né Churchill avrebbe salvato l’Inghilterra senza una brutale svolta nella sua allergia a Stalin. Kennan ci salvò da uno scontro frontale con l’URSS grazie al suo “containment”. Si potrebbe continuare, ma si dovrebbe sottolineare che anche la spartizione della Polonia a Yalta o l’invasione dell’Ungheria del ’56, o la guerra in Vietnam furono figlie della realpolitik. Ma allora è possibile dare una valutazione  di un metodo o stile politico che può dare risultati così opposti o bisogna invece spostarsi ai risultati e giudicare non il metodo ma il punto di arrivo?  Il discorso è complesso e ci rimanda a distinzioni filosofiche - al consequenzialismo, ad esempio - che non è il caso di affrontare qui ma della cui esistenza forse bisognerebbe fossero almeno consapevoli quelli che con tanta sicumera lanciano critiche e accuse.
Ma non basta, se  l’azione nel suo percorso va valutata dal risultato e non dal metodo,  l’iniziativa stessa dell’azione andrà valutata in qualche modo. Per la sua necessità, per la sua urgenza, per il contesto da cui scaturisce? Su tutti questi dati si dovrebbe discutere e dire per quali ragioni la scelta non è sarebbe quella buona. Ma tutte queste sono e restano discussioni politiche, ovvero di valutazione e di opinione. In politica spesso le azioni non seguono un percorso ortodosso. Le cose non vanno come dovrebbero andare. Ma rispetto a che cosa? Rispetto a un modello di funzionamento della società ideale, un modello che rappresenta il “dover essere”, quello che si vorrebbe che fosse. Ma se la realtà, l’ “essere”, si presenta caotico e minaccioso aggrapparsi ai modelli è, quasi sempre, suicida. Allora, purché, niente avvenga “contra legem”, anche qualche acrobazia fuori dall’ortodossia può e, oserei dire, deve essere benvenuta.
Una discussione seria, casomai, dovrebbe concernere, con serie argomentazioni, la necessità, l’urgenza, l’esistenza di effettive alternative, mentre le condanne generiche, superficiali e corali sembrano impuntature infantili.

sabato 15 febbraio 2014

Internet e noi

Sto notando, con un certo stupore, che su Wikipedia francese, alla voce John Stuart Mill , si trova, in offerta gratuita, il download di tutte le opere di Mill tradotte in francese. Analogamente, si può trovare le possibilità di leggere Mill, tradotto, anche in Italia, ma solo attraverso una macchinosa successione di ricerche. Chissà, sarà perché i francesi maneggiano meno bene di noi internet e quindi devono essere facilitati, o conoscono meno diffusamente l’inglese e quindi devono essere incoraggiati?

Passato e presente



“Dacché una opinione è basata sopra i sentimenti, essa sfida i più decisi argomenti, e sembra cavarne forza, invece di affievolirsi: se essa non fosse che il portato del ragionamento, questo, una volta confutato, le fondamenta della convinzione sarebbero scosse; ma quando una opinione non ha altra base che il sentimento, quanto più essa esce malconcia da una discussione, e tanto più gli uomini che la professano si persuadono ch’essa deve basare sopra ragioni che son rimaste fuori di combattimento. Finché il sentimento sussiste non patisce mai difetto di teorie, ed ha bentosto rinchiusa la breccia dei suoi trinceramenti.”
Così scriveva John Stuart Mill a metà ’800. Oggi si parlerebbe di “Backfire Effec". A volte ho l'impressione che i classici abbiano già detto tutto e che noi non facciamo che scoprire "scientificamente" l'acqua calda.

http://youarenotsosmart.com/2011/06/10/the-backfire-effect/

domenica 27 febbraio 2011

L'oscuro oggetto del desiderio

La  presentazione, a Radio 3, del saggio di G.A. Cohen, Why Not Socialism, portava un titolo che mi ha sorpresa: Sei liberale? Prova a pensarti socialista.  (http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-02-27/liberale-prova-pensarti-socialista-082314.shtml?uuid=AauhJ1BD )Ho creduto di aver capito male, ho pensato che il titolo riguardasse il testo inglese. Ma no, era proprio per gli italiani! E allora la mia sorpresa è stata anche maggiore. Il liberalismo ha l’aria di essere, in Italia, “l’oggetto oscuro del desiderio”. Ne hanno parlato un po' tutti in una partecipazione quasi corale per qualche anno, sembrava un’aspirazione culturale diffusa, ma più il tempo passava e più diventava evidente quanto fosse per gli italiani un frutto esotico che fa fatica ad attecchire. Pochi ne capiscono lo spirito che è per sua natura molto più vicino alla mentalità anglosassone, secolarizzata dalla nascita del protestantesimo, che a quella europea, e in particolare quella italiana, molto più sensibli alla direzione esterna delle coscienze e quindi anche poco adatte a controllare l’ingerenza dello stato nel loro privato.  Insomma, quasi precostituiti per il socialismo. Avrei capito di più qualcuno che dicesse: Sei socialista? prova a pensarti liberale.

domenica 20 febbraio 2011

Giudizi di fatto e giudizi di valore

Quando capita, e capita raramente, che in un blog il dialogo si inerpichi fra temi di largo respiro che, uscendo dalle riflessioni quotidiane, si avventurino fra i fili ideali che sottostanno ai nostri discorsi, il ritorno più entusiasmante, per me, è l’impulso alla conoscenza che ne scaturisce. Il confronto tra degli sconosciuti che si avventurano insieme alla ricerca di precisazioni e chiarimenti è  oltremodo stimolante. Vecchi libri scendono dagli scaffali, il web è percorso in un furioso andirivieni e il cervello cerca disperatamente di riacciuffare quella vecchia nozione che si sfuma nella memoria. E’ vita, e della migliore.
Recentemente ho incontrato un blogger con il quale questo tipo di discorso si è attivato.  Insieme  pian piano abbiamo cercato di delimitare l’obiettivo: distinguere nella realtà politica italiana - osservando eventi, atti giuridici, discorsi - cosa apparteneva al liberalismo e cosa invece no. Lo spunto era infatti partito da una diversa valutazione di alcune frasi  di Piero Ostellino.  In breve ci siamo immersi nel lavoro, con entusiasmo, ma anche con paziente precisione.
Insomma stavamo facendo un timido tentativo di volare un pochino più alto di quanto accade di solito nei blog.
Poi una nuova voce si è unita. Sembrava un miracolo: non solo due , ma addirittura tre!
E invece capirsi non è stato facile.
La  nostra discussione era stata letta con grande interesse ed era stata trovata appassionante,  eppure il primo post dava l’impressione  o che la lettura non avesse fatto attenzione a tutta la dettagliata descrizione fatta nei post precedenti su ciò che contiene e ciò che non contiene l’ideologia liberale oppure che il tutto non fosse stato capito. A questo punto una nuova spiegazione ha cercato di chiarire cosa si intendeva dire e per maggiore chiarezza venivano aggiunti due siti che dovevano servire da esempio per chiarire le cose.  Molto rapidamente, troppo rapidamente, arriva una nuova replica in cui permaneva la totale incomprensione della differenza tra “uguaglianza di opportunità” e “uguaglianza di risultati”, fondamentale per il liberalismo,  mentre si insinuava la pretesa  di  portare il discorso dalla “descrizione” di cos’è l’ideologia liberale alla  “valutazione” delle sue conseguenze pratiche nella vita sociale

MA NON ERA DI QUESTO CHE SI ERA SCELTO DI PARLARE. 

Si era nell’ambito di un “giudizio di fatto” (si descrivevano i principi del liberalismo), si parlava di “essere”  (cos`è  e cosa non è)  . Mentre il nuovo interlocutore partiva con un “giudizio di valore” (cosa non va bene nel liberalismo),  parlava di “dover essere” (diceva come avrebbe dovuto essere per produrre un’uguaglianza, cosa che, fra l’altro, il liberalismo mai si è proposta).

E non è che vi sia stata una precisazione del tipo, State parlando del sesso degli angeli, veniamo a cose concrete. No, c’era una completa inconsapevolezza dell’equivoco. E due repliche non sono riuscite a chiarirlo.
Perché ho fatto un post su questo episodio?
Ma perché quello che è accaduto non segnala affatto una particolare mancanza di intelligenza o di preparazione in chi ha scritto, essendo proprio questa  la preparazione normale nei giovani italiani anche in quelli non privi di una certa istruzione.
 E dico normale (nel senso statistico del termine), perché ben  52 giornalisti   del Corriere della Sera, in una replica a Ostellino erano incorsi esattamente nello stesso errore (http://www.corriere.it/cronache/11_gennaio_20/controreplica-ostellino_0c4fd05e-24ce-11e0-8269-00144f02aabc.shtml) . E per dei giornalisti la cosa è veramente grave anche perché si suppone che abbiano al loro attivo un certo curriculum scolastico. Magari una laurea.
Non capisco cosa sia successo alla scuola italiana, in passato chi non aveva le idee chiare su una cosa del genere semplicemente non usciva dal liceo.

lunedì 7 febbraio 2011

Liberalismo, questo sconosciuto.

Poiché il mio blog è per me soprattutto un luogo in cui conservare alcune delle mie riflessioni  in modo che non si disperdano in innumerenoli stickies sparsi qui e là,  trasferisco qui anche questo lungo post di un dialogo con un amico.


Caro amico,

ho impiegato parecchio tempo a cercare di capire non tanto le differenze tra un certo suo modo di vedere le cose e il mio, quanto a cercare di capire le origini di questa differenza. Ovvero quale sia la diversa weltanschauung che alloggia nelle nostre teste e la via per cui vi sia arrivata.
Questo mi porta a una ricerca preliminare di chiarificazione delle mie stesse idee e delle premesse da cui io parto. La cosa non solo non mi dispiace, ma anzi penso che sia un utile esercizio di recupero e riordino di nozioni un po’ sbiadite dal passar del tempo.

Anzitutto direi che mi sembra necessario eliminare ogni confusione tra i piani d’indagine.
Bisognerebbe decidere se vogliamo parlare di idee politiche o di politica sociale.
La vita  politica che si sviluppa nella realtà che ci circonda  può, a mio avviso, diventare compresibile (almeno si spera)  solo una volta chiarite  almeno le fondamenta delle idee politiche di cui ci vogliamo occupare. Nel nostro caso quelle liberali e socialiste.

Le due stanno a fatica insieme, eppure sempre di più devono convivere e confrontarsi, perché nessuno Stato riuscirebbe  a essere totalmente liberale o socialista - Obama sta chiaramente introducendo, con mille cautele e difficoltà, elementi socialisti in uno Stato di  lunga e profonda tradizione  liberale - quindi per capire cosa si vuol  dire è necessario tenere ben distinte le due diverse direzioni da cui si guarda all’uomo e alla società.

Per il liberalismo  la società come realtà non esiste, è un’astrazione, quindi non ha senso ragionare su di essa, anzi il farlo è considerta una forma di negazione della libertà. Si lavora sulla libertà negativa - quella che concede la libertà - che per sua natura è origine di controllo e dominio, ovvero di totalitarismo, anziché sulla  libertà positiva  che lascia al singolo la possibilità di espandersi liberamente (Berlin, Isaiah. Four Essays on Liberty. 1969).
Per il liberalismo esiste l’Individuo, l’uomo, il singolo, quello vero in carne ed ossa. Non esistono categorie di uomini (bianchi, neri, donne, uomini, eteri, omo, ecc.) esiste il singolo con la sua situazione concreta e reale.  Quindi tutte le leggi devono comprendere tutti in quanto individui.

Ma intorno a noi non sempre è così, mi direbbe subito lei. E’ vero, allora come facciamo a capire se una legge viene da un corpo di idee liberali o  socialiste?

Semplice (mica non tanto!)

Il liberale parte, alle sue origini, dalla correzione del patto hobbesiano che affidava al sovrano assoluto tutto il potere per por fine alla lotta di tutti contro tutti. Alla situazione di servitù che ne derivava,  si opponeva, infatti, l’aspirazione dell’individuo alla libertà. Per porvi rimedio si introdusse l’ipotesi (in cui allora tutti credevano fermamente, mentre noi, più smaliziati, sappiamo benissimo come fosse una creazione del cervello umano, al pari di tutte le altre idee di cui ci serviamo) di  una ‘legge di natura’ (http://en.wikipedia.org/wiki/Natural_law).  Questa garantiva a tutti, già alla nascita, alcuni diritti imprescindibili e intangibili,  e questi, ifatti,  furono storicamente compendiati nel primo documento che poneva il liberalismo alle fondamenta di uno Stato: La Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti , 1776 .  “We hold these Truths to be self-evident, that all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the pursuit of Happiness.” (http://en.wikipedia.org/wiki/United_States_Declaration_of_Independence),
 In queste parole c’è tutto. Poi furono aggiunti il Bill of Rights e il 1° Amandement, ma non aggiungevano, specificavano soltanto.

Partendo da questa base si capisce la funzione (minima) dello Stato per il liberale. Solo quella di proteggere questi diritti, che ogni individuo già possiede, da pericoli esterni; aggressioni da altri stati, da poteri costituiti (la chiesa cattolica e tutte le chiese costituite sono aborrite), ma anche dalla sopraffazione di un individuo sull’altro.  Da cui sempre una precisa limitazione della libertà  che nel liberalismo non è mai arbitrio.
Quindi tutto parte dall’Individuo e lo Stato esiste per garantire all’individuo ciò  che già ha di suo. Lo  Stato - il cui potere deve esser tenuto sotto controllo (donde la separazione dei poteri dalla lezione di Montesquieu) -  è al servizio dell’Individuo e dei sui diritti.

Ma i diritti dell’individuo finiscono qui. Ha  infatti  diritto di non esser ucciso, ma a mantenersi in vita ci deve pensare da solo. Ha diritto a cercare la ‘sua’ felicità (che lui solo può sapere quale sia) ma deve procurarsela da solo.
Quali i doveri?
Primo quello di non compiere atti che danneggino o limitino i diritti degli altri, che poi sono gli stessi che i suoi. E poiché lo Stato è là come garante perché questo sia effettivo e interviene con le leggi necesssarie, egli ha il preciso dovere di rispettare le leggi. Secondo quello di pagare le tasse con le quali lo Stato deve organizzare alcuni servizi (difesa militare, politica estera, moneta, infrastrutture e simili)
Ma allora tutto il resto?
Tutto il resto si prevedeva fosse fatto privatamente. La giovane America era molto religiosa (lo è ancora, fatte le debite proporzioni) e, al di là di un convinto individualismo, possedeva un forte spirito di comunità,  preciò abbondava di libere associazioni private, ma con fini pubblici (anche ora) che pensavano a molti dei problemi sociali. Educazione religiosa, assistenza caritativa, parte dell'istruzione, ecc. 
Naturalmente ora le cose hanno assunto dimensioni, e quindi equilibri, diversi ma la tendenza è sempre la stessa. Restano quindi, per lo Stato, obblighi solo quelli che tutelano l’individuo  e i suoi diritti, mentre  hanno invece la forma di ‘offerte’ le norme che inducono a fare qualcosa. Non si impone ma si induce a scegliere.
Un esempio potrebbe essere (ma non ne ho la certezza perché non conosco bene la normativa) l’assicurazione per la macchina . Obbligatoria in quanto devo poter risarcire chi investo. Mentre non è un obbligo l’assicurazione malattia o quella pensionistica perché la salute e la vecchiaia sono problemi miei  o di qualcuno di cui io sono responsabile:figli, famiglia ecc.(Questa base dovrebbe far capire anche le difficoltà di Obama).
Naturalmente tutto diventa obbligo quando sottoscrivo liberamente un contratto.

Passiamo alla idee del socialismo (nelle innumerevoli versioni succedutesi in tempi e luoghi diversi)
Il socialismo, diventa rilevante politicamente quando, sull’onda  del positivismo  da socialismo utopistico  passa alla forma di  socialismo scientifico ovvero pretende di ad applicare allo studio dei rapporti umani lo stesso metodo di analisi usato per le scienze.
Impiega quindi categorie astratte  e  classificazioni per analizzare la società, che è appunto un’astrazione nella quale l’individuo scompare.  Inizia l’era delle generalizzazioni. Per sapere qual’è il problema di una persona invece della sua storia personale si deve prima di tutto vedere a quale categoria appartiene: uomo, donna, giovane, vecchio, bianco, nero, residente, immigrato, etero, omo …. Solo quando si saprà dove collocare questo oggetto d’analisi si saprà quali sono i problemi di quel gruppo e quindi il suo.  Sembra che abbia esagerato e parodiato, ma ho limpressione di non essere troppo lontana dalla realtà. (Infatti, non a caso, ci sono correnti che cercano di tornare all’attenzione alla persona. In medicina, ad esempio, o nel recupero della meritocrazia)

E chi crea queste classifiche e organizza la loro amministrazione? chi può sapere di cosa hanno  bisogno gli appartenenti ai singoli gruppi? di cosa ci sia bisogno per il loro benessere e la loro felicità, che naturalmente non saprebbero cercare e trovare da soli individualmente ?
Ma lo Stato, naturalmente! Solo uno Stato forte e ricco può avere i mezzi per assemblare tutti i cervelli necessari per soddisfare all’esigenza di simili complicate analisi e realizzazioni.
E l’individuo deve adattarsi alle norme imposte (si spera almeno con un qualche sistema rappresentativo) dalle esigenze individuate per il gruppo cui appartiene e deve esser felice all’interno di quelle perché i dotti hanno accuratamente scelto per lui. 
Ovviamente, tranne che per i paesi del cosiddetto ‘socialismo reale’ , dove si era andati parecchio avanti in questa direzione, queste esagerazioni restano tali.

Queste sono alcune cosette che sono riuscita a recuperare dalla mia memoria. Spero che lei le condivida sicché si possa proseguire nella nostra conversazione.
Forse l’ho fatta lunga, ma  arrivare all’osso mi sembrava indispensabile per capire le sfumature dei diversi eventi politici cui siamo presenti e il cui senso troppo spesso ci crea qualche perplessità.